PIAZZA FONTANA, NON È SOLO UNA PIAZZA DI MILANO
di Fortunato Zinni
Nel 47° anniversario della strage di Piazza Fontana, il mio commosso pensiero va alla memoria delle diciotto vittime innocenti: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti,Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè, Giuseppe Pinelli, al dolore dei loro familiari e al ricordo di Luigi Passera e Francesca Dendena che in tutti questi anni si sono battuti per una giustizia negata.
La mia infinita gratitudine va ai trecentomila milanesi che con la loro presenza silenziosa e composta, sul sagrato del Duomo il 15 dicembre 1969, il giorno dei funerali. All’arrivo delle bare non ci furono applausi, allora non usava spettacolarizzare il dolore.
Nella mia memoria è ancora vivo il ricordo di quei volti, di quegli sguardi e di quell’urlo che si levò dalla folla diretto agli strateghi del terrore e ai palazzi del potere... Tanto più assordante perché… muto.
Ringrazio i lavoratori della Filiale di Milano della banca, il Comitato permanente antifascista di Milano, i magistrati, i giornalisti, gli scrittori, i ricercatori, gli studiosi, gli artisti che si sono impegnati in tutti questi anni per non far cadere nell’oblio il ricordo delle vittime innocenti che attendono ancora giustizia.
Accuso con tutte le mie forze lo Stato che, con il suo comportamento complice ed omertoso, ha ostacolato e continua ad impedire l’accertamento della verità giudiziaria.
La strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 viene considerata ancora oggi lo sbocco più drammatico della strategia della tensione. Il 13 dicembre mentre tutti i giornali, la televisione e le trasmissioni radiofoniche forniscono con titoli a nove colonne, notizie sulla strage del giorno precedente e sulle bombe a Roma, il giornale della Confindustria, “Il Globo”, apre la prima pagina con la notizia del telegramma del Presidente Angelo Costa al Presidente della Repubblica Saragat “Allarme e sconforto degli industriali per le norme dello Statuto dei lavoratori“ e colloca solo di spalla ad una colonna “Attentati a Milano e a Roma con 14 morti e più di 100 feriti.” La scelta del quotidiano economico indica con chiarezza il quadro sociale e politico nel quale maturò la strage e gli obiettivi di quelle bombe: fermare le conquiste dell’autunno caldo e spiega perché non si è mai arrivati alla verità.
C’è un fermo immagine straniante che ben illumina la distanza siderale tra le speranze di giustizia delle vittime e dei cittadini di questo Paese e la burocratica insofferenza delle sue istituzioni verso la ricerca della verità giudiziaria su quei tragici anni che hanno insanguinato il paese e della sua consolidata tendenza a rifugiarsi nella comoda e onnicomprensiva verità storica, Il 28 aprile 2005, nella sua requisitoria, davanti alla seconda sezione penale della Cassazione, il rappresentante della pubblica accusa, si alza dal suo scranno per affermare, in pochi minuti di imbarazzata requisitoria, di essere stato incaricato di quel fondamentale ruolo, solo pochi giorni prima, in sostituzione di un altro magistrato, e di scusarsi di non poter sufficientemente approfondire i temi del processo essendosi, tuttavia, convinto dell’impossibilità di raggiungere una sufficiente certezza giuridica sulla responsabilità di quegli imputati, sia pure «con rammarico» e parlando di «sconfitta investigativa», il procuratore generale chiede che siano confermate le assoluzioni. «Mi dolgo di occuparmi ora, a così tanti anni di distanza dal fatto, della strage di Piazza Fontana - conclude - perché non ritengo che la Cassazione sia la sede più adatta per accertare la verità, quando la verità non è stata accertata nelle fasi precedenti di giudizio. E che la luce sulla verità dei fatti sia mancata mi pare evidente, tant’è che abbiamo avuto due verdetti di merito completamente opposti».
Con l’ultima sentenza di archiviazione del 30 settembre 2013 anche la Procura di Milano che per anni si era battuta contro la pista anarchica, si è accodata alla nutrita schiera di importanti rappresentanti delle istituzioni che hanno pilotato nel porto delle nebbie e dell’oblio l’accertamento della verità giudiziaria per la strage.
Il GIP milanese, nell’illustrare i motivi per i quali ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Milano, nel mese di maggio 2012, rileva che nei quattro spunti investigativi, proposti dal legale delle vittime nel 2009, non vi siano indizi e prove sufficienti per riaprire le indagini ed arrivare ad individuare nuovi responsabili di quella strage. “C’erano importanti elementi di novità che, secondo noi aprivano delle concrete possibilità di indagine, - ha ribattuto, a nome delle famiglie delle vittime, l’avvocato Federico Sinicato,- non smetteremo di cercare la verità e continueremo a raccogliere altri elementi per arrivare a scoprire i responsabili”.
Il giudice – scrive ancora il GIP nella sentenza – non può usare lo strumento del processo per fare lo storico, scambiando per «indizi» quelli che sono solo «meri sospetti», e nemmeno può fare lo psicologo di massa che con indagini esplorative lenisca nell’opinione pubblica «la generale insoddisfazione giuridica e sociale» per il fatto «che, a distanza di oltre 40 anni e dopo la celebrazione di vari processi, per la strage di piazza Fontana non ci sia alcun colpevole punito. Non può costituire una ragione sufficiente per protrarre all’infinito indagini prive di serio fondamento, specie se nei confronti di persone decedute o già giudicate», o su «possibili modalità di esecuzione della strage irrilevanti o fantasiose».
“I giudici -conclude il gip, nel sigillare con una pesante pietra tombale l’ultima indagine ancora aperta su Piazza Fontana- non possono scrivere la storia né lenire l’insoddisfazione dell’opinione pubblica senza elementi probanti”.
Non sono tra quelli che cercano le condanne a tutti i costi. In uno Stato di diritto, la verità processuale, è determinata dalle prove esibite durante il processo. Si può e si deve accettare la sconfitta nel processo, ma per piazza Fontana il fallimento della giustizia è principalmente colpa dello Stato che non ha saputo, potuto, voluto processare se stesso. Per quasi mezzo secolo, una opinione pubblica distratta, una stampa connivente con le classi dominanti, Parlamento e governi, ispiratori e complici dei burattinai di turno, hanno scandito il percorso dei processi di piazza Fontana con pesanti e continue ingerenze della Suprema Corte e una magistratura ossequiente, hanno consentito di costruire una mostruosità giuridica che ha prodotto e continua a produrre il più ignobile laboratorio di impunità giudiziaria mai concepito dalla democrazia.
Lo sconcerto nasce dalla constatazione che le “indagini prive di fondamento” sono gli “spunti investigativi “ contenuti in un dossier dei carabinieri del ROS, depositato nel 2009, presso le Procure di Milano e di Brescia e che i magistrati di quella Procura hanno, invece. ritenuto attendibili, tanto da giungere alla recente condanna all’ergastolo, dopo 36 anni, di Giancarlo Maria Maggi per la strage di Piazza della Loggia. Ancora più sconcertante e il silenzio della Procura di Milano e della stampa.
Con buona pace del GIP milanese sono state le sentenze con i loro dispositivi a costruire la verità storica e a stabilire la matrice nazifascista della strage. In tutti questi anni, con i suoi discussi e reiterati interventi, è stata la Cassazione a scrivere la Storia.
Un compito che spettava agli storici ma lo Stato non ha consentito e non consente tuttora agli studiosi l’accesso a tutti i documenti e il riversamento all’Archivio centrale del materiale classificato previsto dalla Direttiva Renzi dell’aprile 2014, va molto a rilento per il boicottaggio dei vari ministeri. Per quanto riguarda la verità giudiziaria, il compito spetta alla magistratura. Il reato di strage è imperscrittibile, l’azione penale è obbligatoria e l’impegno a continuare a cercare la verità deve essere incessante fino a quando esiste un frammento di verità inesplorata. Se il sangue della storia asciuga in fretta la sete di giustizia e verità è inestinguibile.
Bresso, 12 dicembre 2016
LA VERITA' STORICA NON BASTA
di Fortunato Zinni
Questo è un paese che dimentica facilmente.
A quarantasei anni dalla strage del 12 dicembre 1969 nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, il mio commosso pensiero va alla memoria delle diciotto vittime innocenti e al dolore dei familiari.
A Licia, Claudia e Silvia Pinelli che in tutti questi anni hanno condiviso l’umiliazione della giustizia negata.
La mia infinita gratitudine va alla memoria di Luigi Passera e Franca Dendena, all’Associazione dei familiari delle vittime, ai trecentomila milanesi che il giorno dei funerali seppero erigere un invalicabile muro umano contro gli strateghi del terrore, ai lavoratori della Filiale di Milano Banca Nazionale dell’Agricoltura per la loro incrollabile fiducia nella giustizia, al lavoro di pochi giudici coraggiosi e di uno sparuto e dimenticato gruppo di cronisti che hanno raccontato con passione, le alterne fasi del più lungo processo della storia giudiziaria italiana, spesso tra l’indifferenza di una opinione pubblica distratta, la manifesta insofferenza e malcelata intolleranza delle istituzioni e della Suprema Corte asservita ai potenti di turno...
Oggi come ieri il rischio maggiore è l’indifferenza.
Bresso, 12 dicembre 2015
FINALMENTE UN GIUDICE A… MILANO.
E PIAZZA FONTANA?
di Fortunato Zinni
l più ignobile laboratorio di impunità giudiziaria mai concepito dalla democrazia, in Italia, dopo quasi mezzo secolo di depistaggi, ha finalmente trovato un giudice a …Milano.
Ora si capisce perché, quarantacinque anni fa, la Suprema Corte, al servizio dei potenti di turno, scippò il processo per la strage di Piazza Fontana a Milano e lo trasformò in una tortuosa parodia itinerante della giustizia nell’indifferenza dei più.
Un ringraziamento e un affettuoso abbraccio a Manlio Milani, compagno di tante battaglie insieme a Francesca Dendena, Luigi Passera, Carlo Arnoldi, Torquato Secci, Paolo Bolognesi.
Un abbraccio da estendere a tutti gli altri famigliari delle vittime delle stragi. Grazie di cuore all’Associazione dei familiari delle vittime di Piazza della Loggia, ai legali che si sono battuti con ammirevole perseveranza ed ai magistrati ed inquirenti coraggiosi che hanno reso possibile questa sentenza. Una sentenza che conferma la matrice fascista della strage, le pesanti ingerenze dello stato e la sua responsabilità nella strategia della tensione e finalmente dopo quarant’anni rende giustizia alle vittime innocenti della strage.
Rimane, purtroppo ancora una lancinante ferita aperta la inaccettabile pietra tombale sulla strage di Piazza Fontana. Nella sentenza di archiviazione, del 30 settembre 2013, del Gip Fabrizio D’Arcangelo della procura di Milano, della richiesta avanzata nel 2009 dai familiari delle vittime della strage di Piazza Fontana, si legge” La consacrazione che non vi sono altri colpevoli dichiarati tali in un dispositivo di sentenza non costituisce certo una ragione sufficiente perché si possa ipotizzare di protrarre all'infinito indagini prive di serio fondamento, specie nei confronti di persone decedute o già giudicate per la strage in questione. Ne’ - aggiunge il gip - una nuova indagine è giuridicamente possibile solo per accertare possibili modalità di esecuzione della strage diverse da quelle finora note, specie se esse si presentino irrilevanti o fantasiose”. Le “indagini prive di fondamento e fantasiose” sono gli “spunti investigativi “, contenuti in un dossier depositato nel 2009, presso le Procure di Milano e di Brescia, dal tenente colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo. del Comando Unità Mobili e Specializzate Carabinieri “Palidoro” e che sono state utilizzate dai magistrati bresciani.
“I giudici - scrive ancora nella sua sentenza di archiviazione il Gip D’Arcangelo- non possono scrivere la storia né lenire l’insoddisfazione dell’opinione pubblica” senza elementi probanti, ma sono state le sentenze con i loro dispositivi a costruire la verità storica (con buona pace di D’Arcangelo) e a stabilire la matrice nazifascista della strage. Insomma, dice l’ultima sentenza della Cassazione del 3 maggio 2005, i colpevoli ci sono, sono ben individuati, sono quelli di Ordine Nuovo, solo che non si possono condannare perché la stessa Cassazione, in precedenza, li ha assolti.
Giustizia è fatta I giudici della corte di appello del tribunale di Milano con la condanna all’ergastolo di Maggi e Tramonte hanno clamorosamente smentito l’interpretazione della Procura di Milano e del Gip D’Arcangelo. Con profondo rispetto ma anche con fermezza, nel ricordo delle vittime innocenti che dopo 45 anni non hanno avuto giustizia, mi permetto di ricordare ai magistrati della Procura di Milano che i delitti per stragi sono imperscrittibili e gli inquirenti hanno sempre il dovere di continuare a cercare la verità.
Lo Stato non ha voluto fare giustizia in tutti questi anni, in casi di estrema gravità come quelli delle stragi. Stragi, appunto, di Stato, La coraggiosa sentenza dei giudici milanesi impone all’opinione pubblica , alla stampa e soprattutto alla procura di Milano di Milano di riconoscere che gli spunti investigativi che hanno approfondito i magistrati di Brescia e sono stati ritenuti validi dalla Cassazione che ha annullato i proscioglimenti di Maggi e Tramonte non erano poi così irrilevanti e fantasiosi. “La Cassazione, annullando il proscioglimento di Maggi e Tramonte da parte della corte d’appello di Brescia, dedica molte pagine a spiegare, con chiarezza encomiabile — così che ogni cittadino, pur inesperto di legge possa capire — che se sono gravi precisi e concordanti, gli indizi non valgono meno della prova diretta: un’importante lezione di metodo, di onestà intellettuale e di diritto, nel Paese dove i processi per le stragi della “strategia della tensione”, i cui esecutori, la galassia dell’eversione neofascista, con complicità di militari italiani e americani e dei servizi segreti (la Cassazione ribadisce anche questo), sono stati quasi sempre processi indiziari, perché tali li ha resi la sistematica attività di depistaggio (nel caso di Brescia, l’interferenza del Sid nel sottrarre documenti scottanti è stata fatale)”.
Bresso, 23 luglio 2015
UNA VERITÀ SPEZZATA
di Fortunato Zinni
Che fine hanno fatto, gli impegni assunti la scorsa primavera dai Presidenti della Camera e del Senato di fare luce sulle stragi irrisolte?
Il Parlamento (nessuna forza politica esclusa) ignavo e ottusamente arroccato, a difendere il segreto politico militare, continua a garantire l’impunità ai burattinai, che per quasi mezzo secolo, hanno gestito il percorso dei processi delle stragi.
Che paese è mai questo, dove un cittadino, entra con il suo motorino nei locali della Questura di Milano, dopo tre giorni, sotto interrogatorio nell’ufficio del vice capo dell’Ufficio Politico, il Commissario Luigi Calabresi, oltre i termini di fermo, senza l’autorizzazione dei magistrati, muore in circostanze mai chiarite.
La legittima richiesta della famiglia di accertamento delle responsabilità, dopo le pesanti insinuazioni di colpevolezza, del Questore Marcello Guida, viene di fatto ignorata dalla Magistratura.
Una magistratura (fatte salve le lodevoli eccezioni) ossequiente verso i potenti di turno, cinica e irrispettosa verso i familiari delle vittime.
Allora, spostando il processo a centinaia di chilometri da Milano e negando a Licia Pinelli, la possibilità di perseguire in tribunale i responsabili della morte di suo marito.
Oggi, archiviando la richiesta di riapertura delle indagini sulla strage impunita di Piazza Fontana e sbeffeggiando gli spunti investigativi indicati dal legale delle famiglie delle vittime.
Al fallimento della giustizia e allo sfregio della sentenza tombale, dopo 36 anni dalla strage, di assoluzione degli imputati nazifascisti con la motivazione che altri responsabili nazifascisti della strageerano stati assolti dalla stessa Cassazione e non erano più processabili, si sono aggiunte: la condanna dei familiari delle vittime al pagamento delle spese di giudizio ed ora la beffa di una fiction della televisione di Stato che ha riaperto ferite mai rimarginate, ha umiliato vittime innocenti e i loro familiari ancora in credito con l’ingiusta giustizia.
Una mostruosità giuridica che, tra emozioni, speranze, dolori e certezze ha prodotto e continua a produrre sabbia , solo sabbia.
Il sangue della storia asciuga in fretta e la sabbia è quella che in ogni caso serve ad asciugare.
Qui sopra > Enrico Baj: "I Funerali dell'anarchico Pinelli" - Foto di Andrea Scuratti
Un museo degli orrori senza fine che negli anni ha generato:bombaroli divenuti opinionisti, legali che passano dalla difesa delle vittime a quella degli imputati, fantasiose doppie bombe. poliziotti capaci per alcune procure, inconcludenti e pericolosi per altre, feroci lotte intestine tra: istituzioni,corpi separati dello Stato,procure e magistrati.
Nel giugno 2012, Marcello Veneziani ha invitato Franco Freda a curare su Libero la rubrica “L’inattuale”. Lo stesso Veneziani ha scritto la prefazione del libro firmato dal giornalista e storico Luciano Garibaldi “Gli anni spezzati. Il Commissario. Luigi Calabresi Medaglia d'Oro" Ed. Ares, dal quale e stata liberamente tratta la fiction andata in onda il 7 e 8 gennaio su Raiuno.
Con un cinismo al limite della disonestà culturale, consulenti e sceneggiatori. acquiescenti ed insensibili verso chi ha sofferto, è stato emarginato ed accusato ingiustamente, non si sono fatto scrupolo di ricorrere a palesi falsità storiche.
Operazioni squallide e dozzinali come questa fiction, riaprono antiche ferite e procurano ancora dolore e sofferenza alla famiglia Pinelli, ai familiari di Pietro Valpreda e degli altri anarchici ingiustamente accusati, a quali rinnovo la mia affettuosa vicinanza, agli altri compagni di fede e a quanti non hanno accettato la loro colpevolizzazione.
Anche il Commissario Luigi Calabresi è una vittima della violenza dell’arma che lo uccise e di quelle a mezzo stampa, verbali, con manifesti e scritte murali che lo trasformarono nel bersaglio dei suoi carnefici.
Ma il becero tentativo di santificazione attraverso un raffazzonato fotoromanzo di quartordine, oltre a non avere lo spessore morale (a prescindere dalla sua condivisione) del libro “Sposta la notte più in là” del figlio Mario, finisce con l’ottenere l’effetto contrario.
Sulla rete non mancano reazioni contro la memoria del Commissario Calabresi che comportano ulteriori sofferenze ai suoi familiari.
Ancora una volta si è persa una occasione per affrontare con coraggio uno dei periodi più inquietanti della nostra storia recente.
Lo Stato, ormai da quasi mezzo secolo, si oppone con protervia, alla ricostruzione di una memoria condivisa, per non processare se stesso ed assumersi le proprie responsabilità.
Ancora una volta a farne le spese, dopo questa fiction, è la verità che viene stravolta ed umiliata.
Una verità spezzata.
10/01/2014
in data 10/11/2013 ci scrive il preg.mo Giudice Guido Salvini:
"mi permetto di inviarvi un PDF contenente una parte del mio libro Office at night, una raccolta di articoli che ho pubblicato in questi ultimi anni e di cui la seconda edizione sarà disponibile via Internet preso il sito www.Gettalarete.it a partire credo dal 20-22 novembre e anche in forma cartacea in alcune librerie dl centro di Milano.
L’articolo che chiude il libro e la postfazione che ho scritto in questi giorni contengono, oltre ad altri argomenti, il mio punto di vista sulle indagini relative alla strage di Piazza Fontana, cui tutti come associazioni e come persone siete interessati, le mie riflessioni fortemente critiche su quanto ha fatto e non ha fatto per più di venti anni la Procura di Milano e la mia valutazione, del tutto personale, su come si dovrebbe ricordare quest’anno, il primo da oltre
40 anni in cui non vi è un fascicolo di indagine aperto, il giorno del 12 dicembre.
Questi scritti si richiamano al mio contributo “Piazza Fontana, una storia incompiuta” per il volume collettivo “Piazza Fontana 43 anni dopo” pubblicato nel novembre 2012 da Mimesis a cura di Stefano Cardini. Quel libro precede la recente ultima archiviazione.
Dato che il volume di Mimesis non ha avuto un grosso richiamo e non ha circolato molto soprattutto perchè era un saggio storico-culturale di riflessione e non un libro-inchiesta e quindi è rimasto poco conosciuto, vi mando anche il PDF con il mio contributo che si ricollega alla postfazione.
Vi autorizzo a fare di questi scritti l’uso che ritenete più utile compresa l’eventuale pubblicazione, che mi sarebbe gradita, su siti da Voi curati